Il tribunale di Milano assolve per ben due volte un whistleblower ingiustamente denunciato 


(Dal Corriere Della Sera – 5 Dicembre 2021)

Il dipendente cacciato nel 2019 perché avrebbe proferito violente minacce contro due superiori: ma quelle frasi non vennero mai pronunciate

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Licenziato. Ma per un fatto che «non sussiste». L’ultima parabola dell’(ex) impiegato dell’Atm che ha denunciato la truffa dei biglietti clonati, parte da un provvedimento dell’azienda datato 8 febbraio 2019 (il dipendente cacciato perché avrebbe proferito violente minacce contro due superiori, «ora gli faccio vedere io… prendo il fucile e li ammazzo») e finisce con una sentenza di assoluzione piena in Tribunale: quelle minacce non sono mai state pronunciate. Per rendersi conto che non si tratta solo di una causa di lavoro, o di un rovello di interna corporis annidato in un clima di antipatie tra colleghi, bisogna ricordare che lo scorso ottobre, dopo la chiusura delle indagini dei carabinieri, la magistratura ha sequestrato beni per 1,2 milioni alla funzionaria (anche lei licenziata) accusata di stampare e rivendere in nero biglietti e abbonamenti per i mezzi pubblici. Altri 9 dipendenti sono stati licenziati con la stessa «imputazione» (anche se per somme molto minori), ma a distanza di tre anni non si sa ancora che esito abbia avuto il procedimento penale.

Chi è il whistleblower

La cifra di quel sequestro dà però, almeno in parte, la proporzione di quanto sia stato ampio il canale di frode che fino all’inizio del 2018 drenava incassi destinati all’azienda e al Comune (il pagamento dei passeggeri per i titoli di viaggio), e li dirottava verso tasche private. Nel frattempo, mentre Atm denunciava la truffa e l’Arma iniziava a indagare, il whistleblower, e cioè l’uomo che aveva provato a scoperchiare il sistema prima con segnalazioni, poi con mail certificate alla sua azienda e al Comune, è stato investito da una serie di procedimenti disciplinari e infine licenziato. Oggi incassa la seconda assoluzione penale: stavolta rispetto ai fatti che hanno provocato il suo allontanamento.

Testimoni a confronto

Storia intricata. Parte a fine 2016 con due esposti che porteranno alla chiusura (poi sanata) di due piani della sede Atm di Foro Buonaparte per il mancato rispetto delle norme di sicurezza. Gli esposti portano la firma di un dirigente, che però la disconosce. L’indagine interna dell’Atm punta subito sul whistleblower, come autore ombra degli esposti, e viene confermata dalla polizia giudiziaria: a marzo 2018 l’impiegato viene rinviato a giudizio per «sostituzione di persona». Nel frattempo, a novembre 2017, lo stesso dipendente firma le due Pec che porteranno all’inchiesta sui biglietti clonati (che l’indagine sia nata da una soffiata interna lo ha confermato un dirigente Atm in un’udienza al Tribunale del lavoro). Qualche mese dopo, a giugno 2018, l’impiegato riceve una lettera anonima in cui qualcuno sostine che sulla denuncia ai vigili del fuoco qualcuno all’interno dell’azienda «l’avrebbe incastrato». Il dipendente ha una reazione di rabbia e sconforto, in Atm arriva prima un’ambulanza, poi una pattuglia dei carabinieri. È in quella situazione che tre colleghi (tra cui un dirigente) dicono di aver sentito le minacce di morte. Per quei fatti il whistleblower viene di nuovo denunciato, e poi licenziato.

La doppia assoluzione

Il 9 giugno 2020 arriva la prima sentenza penale: il whistleblower assolto dalla «sostituzione di persona» perché non ci sono prove per affermare che abbia mandato lui gli esposti (l’assoluzione è stata chiesta dallo stesso pm). E poi, con sentenza dello scorso 8 settembre, sempre assistito dai legali Domenico Tambasco e Gennaro Colangelo, il whistleblower incassa la seconda e ancor più pesante assoluzione («il fatto non sussiste») per le minacce: a fronte di tre testimoni che hanno sostenuto di aver sentito le frasi col proposito d’omicidio, altri sette impiegati Atm presenti quella mattina hanno smentito del tutto la ricostruzione, parlando dello «stato di afflizione» del loro collega, ma escludendo del tutto di aver sentito le minacce. Un quadro confermato anche dai sanitari e dai carabinieri intervenuti in azienda. Il ricorso contro il licenziamento è ancora aperto davanti al Tribunale del lavoro: un percorso parallelo, in cui il giudizio penale potrebbe avere un peso, ma non è vincolante per il giudice.

Le indagini interne

Nell’inchiesta dei carabinieri sui biglietti clonati è però emerso un altro elemento, e cioè che sia stato sempre lo stesso whistleblower ad informato l’azienda sulle truffe interne negli Atm Point già nel periodo a cavallo tra 2015 e 2016. Lo ha raccontato un ex potentissimo capo del personale agli investigatori, dicendo che l’impiegato si era rivolto a lui per la segnalazione. Ecco quel che accadde (nella ricostruzione messa a verbale): «Ritenni utile convocare il dipendente in un bar di piazza Argentina, con preghiera di rendere partecipe il dirigente (all’epoca responsabile degli Atm Point, ndr) di quanto mi aveva riferito». Lo stesso ex capo del personale racconta di aver saputo che vennero fatte indagini interne affidate a due dirigenti, che riferirono poi al loro superiore gerarchico, dunque ai massimi vertici aziendali. Quei due dirigenti sono ancora in Atm. Il verbale si chiude così: all’epoca, «venni poi a sapere l’esito di tali indagini fu negativo».