(Dal Corriere della Sera – 10 Febbraio 2022)
Milano, denunciato due volte dall’azienda dei trasporti milanese e due volte assolto. Il tribunale del lavoro: licenziamento infondato, l’impiegato deve tornare al suo posto con 12 mesi di stipendi arretrati. Atm: impugneremo il provvedimento. Nel 2017 l’uomo aveva svelato la truffa dei biglietti clonati negli Atm Point
Denunciato dall’azienda una prima volta (per «sostituzione di persona») e assolto dal giudice penale per insufficienza di prove; denunciato ancora (per «minacce») e assolto una seconda volta dal Tribunale penale perché «il fatto non sussiste»; licenziato nel febbraio 2019 e infine, dopo tre anni senza stipendio, ancora il Tribunale (stavolta la sezione Lavoro) stabilisce che il provvedimento con il quale il dipendente è stato cacciato dall’Atm è infondato: e quindi l’impiegato deve subito tornare al lavoro, ricevendo per il momento 12 mesi di stipendio arretrati. Non solo, l’ultima sentenza spiega anche che almeno uno dei testimoni ha subito pressioni perché desse «una versione dei fatti favorevole all’azienda». Sono così tre i diversi giudici che bocciano l’azienda milanese dei trasporti per le azioni legali intraprese contro il lavoratore che, dalla fine del 2017, ha scoperchiato la truffa dei biglietti clonati negli Atm Point, denuncia che (questa sì) si è rivelata fondata e dopo una lunga inchiesta dei carabinieri è arrivata per ora a sequestrare 1,2 milioni di euro all’ex responsabile del punto vendita dei tagliandi in Duomo.
Lo scenario in azienda
Si tratta di una vicenda giudiziaria e personale che prende valore soltanto se inserita in uno scenario più ampio. All’interno dell’azienda, fino al 2018, s’era creata una sorta di «zecca clandestina» di biglietti e abbonamenti, che venivano stampati e rivenduti in nero da alcuni dipendenti agli sportelli, senza che il sistema informatico interno lanciasse alcun segnale di allerta: i clienti dell’Atm non s’accorgevano di nulla al momento di acquistare i titoli di viaggio agli sportelli degli Atm Point, ma gli impiegati infedeli intascavano in nero e trattenevano per sé il pagamento. Oltre alla funzionaria, altri 9 dipendenti sono stati licenziati con la stessa «imputazione» (anche se per somme molto minori — non si conosce ancora l’esito del procedimento penale).PUBBLICITÀ
La battaglia legale
Il dipendente cacciato (assistito dai legali Gennaro Colangelo e Domenico Tambasco), e appena reintegrato con una sentenza del 3 febbraio scorso, aveva denunciato con una serie di Pec all’azienda e al Comune proprio questa truffa. In parallelo, però, è stato per due volte portato in Tribunale dall’Atm: la prima perché accusato di aver inviato due esposti su irregolarità nel posto di lavoro a firma di un dirigente (ecco la sostituzione di persona), la seconda perché, quando ricevette una lettera anonima che gli rivelava di «essere stato incastrato», avrebbe pronunciato minacce di morte contro due dirigenti. Ecco, per queste minacce il whistleblower è stato licenziato, poi però assolto in sede penale (sentenza passata in giudicato), e ora anche reintegrato dal giudice del lavoro. Rispetto a quest’ultima sentenza Atm spiega: «L’azienda non condivide le conclusioni cui è giunto il giudice del primo grado e impugnerà il provvedimento, anche in relazione a come sono state valutate le testimonianze».
Le pressioni
Proprio le testimonianze sono state decisive per stabilire se il dipendente avesse pronunciato le minacce o no. Già nell’indagine interna di Atm, solo tre dipendenti (tra cui un dirigente e uno che ha a carico una denuncia per falsa testimonianza) hanno detto di aver sentito le frasi incriminate, mentre otto hanno negato. A queste testimonianze si sono aggiunte quelle dei sanitari del 118 intervenuti quel giorno (chiamati dallo stesso dipendente): hanno ricordato una persona provata e agitata, ma non minacciosa. E infine il racconto dei due carabinieri che arrivarono negli uffici dell’azienda quella mattina. Di fatto i militari hanno «escluso di essere stati chiamati dal 118 per un comportamento minaccioso» e hanno aggiunto che, se avessero sentito loro stessi, o qualcuno gli avesse riferito di una minaccia, sarebbe stato loro dovere inserire questi racconti nell’annotazione dell’intervento, «cosa che non è avvenuta».
Whistleblowing e testimonianze in tribunale
Il giudice si sofferma poi a lungo sulla testimonianza di una ragazza, all’epoca presente nell’ufficio del whistleblower, stagista poi non riconfermata, che ha raccontato di aver ricevuto due telefonate dal collega più alto in grado tra tutti quelli che hanno avuto a che fare con questa vicenda (e testimone contro il whistleblower): nella prima, precedente alla convocazione per l’indagine interna, «mi fece intendere di essere accomodante verso l’azienda». Una seconda telefonata l’ha ricevuta prima della convocazione come testimone in Tribunale, quando ormai non lavorava più in Atm perché il suo stage non era stata rinnovato. La ragazza ha continuato a spiegare di non aver sentito minacce. Sul comportamento verso questa testimone, il giudice si sofferma parlando di «un’immagine poco limpida e trasparente, interessata ad avere una versione dei fatti favorevole all’azienda, anche a scapito dei primari principi dell’etica civile».