Licenziato perché sgarbato coi clienti, ma la colpa era dello stress: risarcito


(Da La Provincia di Cremona – 14 Ottobre 2023)

L’ordinanza del Tribunale di Cremona che ha dichiarato Illegittimo il licenziamento disciplinare del dipendente stressato: intervista all’Avv. Tambasco.

Ad un cliente aveva detto di ‘chiudere il becco’. Con un altro che gli aveva chiesto di verificare se lo stipendio fosse stato accreditato sul conto, aveva alzato la voce e lo aveva strattonato sino all’uscita. È dicembre del 2021, quando i due episodi vengono registrati dalle telecamere del Credito emiliano. Se agli insulti e agli strattoni si aggiungono altri due fatti accaduti nel maggio precedente, secondo la banca ce n’era a sufficienza per licenziare il cassiere «per giusta causa». Il dipendente fu lasciato a casa a marzo del 2022. Ma il giudice del lavoro ha annullato il licenziamento e condannato la banca a risarcire il lavoratore con 16 mensilità, perché il cassiere si era trovato a lavorare in un ambiente «stressogeno» e perché da anni aveva segnalato il proprio malessere, ma il Credito emiliano non aveva fatto alcunché: una «colpevole inerzia» su cui si è concentrato il giudice che ha ritenuto il licenziamento per giusta causa una sanzione non proporzionata. «È un’ordinanza che farà storia», commenta l’avvocato giuslavorista di Milano, Domenico Tambasco, legale del cassiere messo alla porta dopo 28 anni di anzianità, per lo più nella stessa banca tra alti e bassi. Nelle 13 pagine di motivazione dell’ordinanza, si ricostruisce che prima del licenziamento il lavoratore aveva fatto causa per demansionamento. Che dietro sua richiesta, fu trasferito da un’altra Regione e infine messo a fare il cassiere semplice, dopo aver avuto mansioni molto più elevate, a contatto con i clienti della fascia più alta. Il giudice ha esaminato le schede di valutazione sul dipendente, fatte dalla stessa banca tra il 2014 e il 2020. In tutti i report, il lavoratore ha avuto «risultati complessivamente adeguati», ma ha sempre manifestato il proprio malessere: «Non ha mai nascosto i suoi ‘mal di pancia’ nello svolgimento del ruolo di cassiere commerciale, esprimendo più volte interesse di valutare esperienze professionali diverse»; «Nulla gli possiamo obiettare in termini di impegno… Di contro non ha mai negato di sentirsi fuori luogo nel ruolo»; «disagio, più volte manifestato, per un ruolo che ritiene non adatto al suo profilo professionale». «Non è giustificazionismo». Non lo è per l’avvocato. Non lo è per il giudice, che scrive: «Al lavoratore va sicuramente rimproverato di non aver saputo esercitare il dovuto autocontrollo manifestando all’esterno il proprio malessere in circostanze che richiedevano altro comportamento. Tale mancanza, però, si ritiene non possa integrare la giusta causa di licenziamento o il giustificato motivo soggettivo». « L’ordinanza non solo è molto equilibrata, ma è anche molto innovativa — osserva l’avvocato Tambasco —. Non è una sentenza isolata, perché si colloca in un orientamento della Cassazione che già da un anno a questa parte ha cominciato a dare rilievo alle condizioni organizzative e non più alla condotta individuale. Se prima i giudici consideravano la condotta individuale in sé e per sé (hai fatto o non hai fatto quel fatto e se lo hai fatto ti licenzio, se non lo hai fatto, non ti licenzio) oggi, invece, la sua è una valutazione sistemica, più complessa e articolata, perché le nostre condotte si pongono in un contesto organizzativo». Nel caso in esame, «il cassiere può anche aver detto certe cose, può anche aver fatto certe cose, ma c’era un contesto che è stato considerato e valutato dal giudice». C’era «un contesto di superlavoro, di carico lavorativo, di malessere del lavoratore che era stato riportato al punto di partenza , cioè cassiere dopo una carriera molto positiva». Un malessere provato dai certificati prodotti al giudice. «La banca lo sapeva da anni», avrebbe dovuto porvi rimedio. «La prima cosa che devi fare, e il giudice l’ha capita, è togliere il cassiere dal contatto con il cliente. Non lo devi tenere a contatto con il cliente dopo che certi episodi si erano già replicati. Quantomeno, la banca è colpevolmente inerte» . E «su questa «colpevole inerzia» si è concentrato il giudice per arrivare alla pronuncia di un’ordinanza molto equilibrata. Le relazioni ambientali (ambiente di lavoro nocivo o positivo) e le relazioni personali (colleghi simpatici, antipatici, cattivi, buoni) influiscono sulle nostre condotte. Non è giustificazionismo, è il cercare, però, di capire che certe reazioni possono avere delle implicazioni un po’ più complesse, più articolate. Il Tribunale di Cremona si pone all’avanguardia, direi che è una sentenza che farà storia».